Unorna, la principessa nera, viveva in una grande casa bianca vicino a un fiume, circondata da alte montagne, verdi prati, boschi, fiumi e ruscelli. Aveva scelto quella dimora fra tante, perché così era scritto. Già al momento della sua nascita lei sapeva che u
n umano designato sarebbe venuto a prenderla per portarla nella grande casa bianca. Unorna non era una creatura come tutte le altre: aveva il “dono”, fin da piccolissima. Sapeva “leggere” nelle menti e nel Gran Libro della Natura. Era un dono che le era stato trasmesso da sua madre. Alla sua nascita la madre le disse: “Unorna, tu sei diversa dai tuoi fratelli. Sai come cavartela e gestire la tua vita. Ma non fidarti degli umani. Siamo in un momento buio, in un mondo avverso. Verranno momenti migliori, ma ora quelli della nostra specie sono sempre costantemente in pericolo. Verrà un umano a prenderti: di lui ti potrai fidare. Ti porterà in una grande casa bianca dove ci sarà chi si prenderà cura di te. E tu prenditi cura di loro.”
E continuò: "Unorna, tu hai un compito: devi far capire a questi umani il pericolo che noi corriamo continuamente. Devi allearti a loro, e chiedere che ci aiutino. Dal vostro incontro, le nostre sorti sono destinate a cambiare".
Unorna cresceva, ed era sua abitudine girovagare per i prati e i boschi, e incontrare i suoi amici. Era curiosa e voleva capire tutto di quel mondo incantato. Alla sera tardi, quando tornava, gli umani della grande casa bianca le raccontavano le loro giornate. Lei li ascoltava in silenzio e trasmetteva loro i suoi pensieri. Era così che comunicavano, tra loro.
Gli umani avevano per lei grande rispetto, ma non tutti le erano simpatici. Quando entrava nella casa bianca l’umano che curava i suoi simili, lei lo guardava fisso negli occhi finchè lui non si spostava a disagio. Quell’umano non era buono come i suoi amici. Lei sapeva che era solito cacciare il popolo dell’aria, e Unorna lo disse silenziosamente ai suoi amici umani. Da quel giorno l’umano che curava i suoi simili non entrò più in quella casa.
Unorna aveva tanti amici, ad esempio Schwarzy, l’amico di sempre. Schwarzy aveva un bel manto bianco e nero, era forte e robusto e voleva accompagnarla dappertutto. Ma Unorna amava girovagare da sola, e così si metteva a correre e attraversava il fiume, saltando da una pietra all’altra. Schwarzy provava a seguirla, ma lei era troppo veloce, e capitava che Schwarzy perdesse l’equilibrio, precipitando nell’acqua. Tornava a casa, sconsolato, dagli umani che lo asciugavano con quei loro stracci asciutti. Schwarzy si preoccupava quando lei non tornava a casa la sera. Lui e gli umani si consolavano a vicenda, condividendo la loro preoccupazione, e mangiando insieme un boccone nella cucina della casa bianca.
Unorna un giorno si accorse che qualcosa si muoveva nella sua pancia. Il suo ventre iniziò ad ingrossarsi finchè lei capì cosa le stava succedendo. Era una sensazione nuova, dolce, e lei si mise in attesa. Raccontava silenziosamente ai suoi amici umani le sue sensazioni e faceva sentire loro i suoi piccoli che si muovevano nella sua pancia. Loro erano ansiosi più di lei, si preoccupavano che stesse bene e che tutto andasse per il meglio.
Finchè un giorno vennero al mondo i figli della principessa Unorna, cinque bellissimi principini. Tre erano tutti neri come lei, uno era grigio come il fumo e un altro era come una tigre grigia. Una sola era femmina. L’umana alta, quella che le stava sempre vicino, la aiutò a mettere al mondo i suoi figli e Unorna gliene fu grata. Mettere al mondo cinque piccoli fu stancante! L’umana alta preparò una comoda alcova nella sua stanza, dove Unorna poteva stare con i suoi piccoli. Gli umani vollero dare un nome ai suoi figli e chiesero il permesso a Unorna. Lei glieli suggerì: Tula, Bran, Oberon, Thor e Shali. Tula, Bran e Oberon avevano il manto nero; Thor era color del fumo e Shali aveva il manto striato.
Unorna lasciò che gli umani dessero il nome ai suoi figli, ma conosceva il nome segreto di ognuno di loro, così come conosceva il suo.
Unorna e la sua stirpe da quel giorno si mossero sempre uniti, senza lasciarsi nemmeno per un attimo. I suoi figli crescevano, diventavano più grandi di lei, ma volevano che lei continuasse ad allattarli, e Unorna li a
ccontentò.
Furono giorni felici. Unorna insegnò ai suoi figli tutte le sue conoscenze e le sue abilità. Insegnò a salire sugli alberi, a correre nei boschi di notte, insegnò il linguaggio degli umani. Insegnò a distinguere gli umani buoni da quelli cattivi.
Poi vennero i giorni bui. Unorna aveva proibito ai suoi figli di andare dove c’erano i pericoli, ma loro non la ascoltarono. E così la comunità si frantumò poco a poco.
La vita di Unorna cambiò. Si mise a girovagare sempre più spesso, stava intere giornate sulla sponda del fiume e di notte saliva fino in cima alla grande montagna.
Unorna lasciò questo mondo il 2 febbraio 2000, il giorno del suo compleanno. Esattamente dieci anni dopo la sua nascita. Era il giorno della candelora. Il suo compito era finito: sapeva che il destino era ormai segnato. Sapeva che i suoi fratelli umani ora avevano capito che cosa fare e che un giorno non lontano la sua specie sarebbe tornata a vivere libera e felice. Se ne volò via, vento nel vento, senza lasciare apparente traccia, come lacrime nella pioggia.
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